“Laetĭtĭa. In assenza di confini” 31 ottobre-10 novembre 2024

“Laetĭtĭa. In assenza di confini” è l’ultimo progetto espositivo di Valeria Patrizi, pensato per gli spazi del WeGil.

Incontrarsi, conoscerci, confrontarci è stato cosi naturale e bello, che arrivare fino alla presentazione della sua prima mostra pubblica a Roma, è frutto di un percorso privilegiato con la conoscenza, con la verità.

Lavorare e scrivere con e per gli artisti, mette nella condizione di riconoscere nell’arte un ruolo di rilievo, in quanto ha a che fare con un tempo privilegiato dell’esistenza o della storia.

Gli artisti hanno da sempre alterato la visione del mondo: ciò che per noi “uomini comuni” la visione di un soggetto è un dettaglio, per l’artista lo stesso dettaglio muta la visione dell’insieme. Ed è proprio nel dettaglio – che scopriamo mentre guardiamo attentamente le tele di Valeria Patrizi – che la nostra conoscenza dà origine a un racconto dai valori universali, gli stessi che negli ultimi anni la vedono impegnata nella ricerca di tematiche legate al concetto della donna e della natura.

Nello specifico l’artista, sempre coerente con il suo percorso poetico, presenta dieci grandi tele con le quali l’identità della donna è raccontata attraverso concetti che ruotano intorno alla sua forza rigeneratrice, alla sua emancipazione, alla sua storia di donna salvifica, eroina, dinamica, intraprendente con la predisposizione a una sapienza intuitiva, alla cooperazione, all’istinto, alla cura, alla capacità simpatetica e a quella empatica, con la quale svela una natura salvata e ritrovata. 

Valeria Patrizi racconta l’universo femminile in un modo delicato, grazioso come Laetitia, sinonimo di gioia, dell’essere lieti alla vita.

A Valeria piace raccontare storie: “Elettiva conversazione” è ciò che di più aulico possa accadere in una famiglia, probabilmente composta da quattro sorelle, da quattro cugine o amiche, rappresentate vicine come segno di affetto e protezione reciproca, unite da un profondo legame. Qui la relazione è rafforzata dal profilo dell’asino, unito alle figure da una tela ricucita.

Dal particolare di un elemento come in questo caso il filo che “lega” le due stoffe, si estendono concetti d’importanti valori universali.

Il legame che unisce le due tele è, per me, simbolo di un valore così importante che il microcosmo raccontato dall’artista è lo stesso che ritrovo nella mia esistenza: l’intensità del racconto tramandato, la bellezza dell’esperienza vissuta della mia infanzia, la potenza della forza creatrice donata da mia madre, l’importanza del ruolo femminile nella famiglia e nella società, la memoria della nostra meravigliosa esistenza, l’affidamento e la valorizzazione tra donne, sorelle, amiche, zie, cugine…

Conservo gelosamente l’“Enciclopedia della donna”, un’eredità di mia madre  uscita a metà degli anni Sessanta che espone in modo chiaro e definitivo tutto quello che una donna era tenuta a sapere: dall’alimentazione al cucito, dal ricamo alla cura della bellezza, dalle regole della buona accoglienza al ruolo della donna nella società, compresi i ruoli professionali riconosciuti dell’epoca come la modella o la hostess. I venti volumi sono poi arricchiti da approfondimenti sulla storia del costume, su artisti o movimenti su di essi.

Nella mia piena adolescenza sfogliavo spesso quei volumi. Al di là del cliché che si potrebbe attribuire alla raccolta, perché ritenuta di un valore patriarcale, io ne riconoscevo il significato oltre che affettivo, di conoscenza delle tecniche e degli strumenti legati al lavoro femminile.

 “Dove non c’è donna non c’è casa né grazia” affermava Maria Lai.

Sono cresciuta tra fili, stoffe, ricami, inebriata dai racconti intorno a un focolare. Il filo cucito è quindi per me il filo della vita, è il simbolo di memoria a rappresentazione che la storia si racconta, si tramanda.

Con il filo si tessono grandi tele. La trama è quella narrazione, espressione figurata di tessitore di storie che nascono da una gamma emotiva dell’artista ma che in realtà appartengono al genere umano. Valeria racconta le sue emozioni attraverso la figura femminile. Le sue donne parlano di coraggio, di forza, di fragilità, di equilibrio mantenuto sulle difficoltà della vita. Le grandi dimensioni delle tele ospitano entità che campeggiano su uno sfondo più materico, più lavorato rispetto alle opere del passato, dove ampie macchie di colore contribuiscono a rafforzare il loro aspetto subliminare. Qui il filo e il ricamo sono integrati nella pennellata, restituendo una serie d’indizi che creano la condizione per permettere allo spettatore di percorrere il processo di trasformazione del racconto e della narrazione presente nel lavoro.

Lontane dall’essere vulnerabili, le donne di Valeria Patrizi si mostrano fiere, sicure, emergono dalle tele con un tratto così leggero che sembrano essere sfiorate con le punta delle dita per poi essere ravvivate con colori, abiti a volte sontuosi; immerse nella natura e contornate da animali fantastici.

La grande balena, il rinoceronte, i pavoni, i cervi, sono solo alcuni degli animali che completano le sue opere creando un dialogo che al primo sguardo potrebbe risultare surreale ma che in realtà rientra nella parte più intima ed emotiva dell’artista, alterando la lettura dell’opera. Gli animali per Valeria vogliono sempre raccontarci qualcosa: come ad esempio i cervi, dai tratti accennati del busto e del muso che dominano la tela con i loro palchi colorati in riferimento alla lotta, alla forza, diventando elementi simbolici a completamento dell’universo femminile.

Qui tutto si armonizza: l’eleganza con cui viene ritratta la figura femminile, l’unione dei vari elementi della natura, la serenità discreta dell’espressione dei volti. Tutti fattori aggraziati che convivono accuratamente dentro la tela esprimendo il coraggio e la forza attraverso un segno pittorico etereo e minimalista, senza aver bisogno di urlare al mondo con sfrontatezza e prepotenza il loro essere donna.

I volti accennati a matita sono tutti caratterizzati da uno sguardo misterioso, da dove aleggia quel lieve senso di mistero che rafforza il ruolo che ognuna delle sue protagoniste ricopre. Pur nella loro staticità lo sguardo è sempre rivolto avanti, la maggior parte delle volte verso lo spettatore, come a condurlo verso un qualcosa che sarà.

Le labbra carnose, serrate, colorate sono simbolo di fermezza, non devono urlare chi sono ma esprimere il concetto: non più parole ma fatti, sensazioni, emozioni.

La grandezza delle tele, inoltre, assicura uno spazio nel mondo. L’idea di presentarle senza cornici dona intensità alla narrazione, per l’esigenza di farle fluttuare libere come bandiere che, sventolando, fanno circolare il loro messaggio.

La libertà è ora conquistata! Il baule della nonna è stato aperto e con una carezza nel cuore si parte alla conquista di nuove storie da tramandare alle future generazioni passando attraverso leggende, miti in cui la protagonista è la donna che, ritratta da un segno libero e a tratti sintetico, sottolinea il suo essere indipendente e autorevole, sempre con uno sguardo rivolto alla contemporaneità.

Simona Cresci

curatrice e critica d’arte